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Vostra Signoria ” Il Bitto”

Facciamo ora una descrizione sulla lavorazione del Bitto, prodotto di ieri e di oggi, e sulle zone dalle quali deriva la produzione stessa. Si ritiene che il Bitto sia prodotto da oltre tre secoli, ed ha preso il nome della valle del torrente Bitto affluente di sinistra del fiume Adda, in cui sbocca presso Morbegno.
Viene prodotto nelle valli del Bitto: A) Val Gerola, B) Valle d’Albaredo. A) Alpeggi della Val Gerola: Tagliate, Piazza, Olano, Combanina, Combana, Stavello, Trona Soliva, Trona Vaga, Tronella, Pescegallo Foppe, Pescegallo Lago, Bomino Vago, Bomino Solivo, Dosso Cavallo, Culino. B) Alpeggi della Valle di Albaredo: Garzino, Vesenda Bassa, Vesenda Alta, Orta Vaga, Orta Soliva, Pedena, Lago Piazzo, Pedroria. Produzione – Viene prodotto dalla fine di giugno fino a metà settembre (secondo le condizioni climatiche). Gli alpeggi partono da 1500 metri fino a 2300 metri.
Il Bitto migliore è quello prodotto negli alpeggi più alti, in quanto l’erba è migliore. Genuinità – E’ un prodotto genuino perché non c’è concimazione sul terreno pascolato dalle mucche, quindi il latte che queste producono è più buono. Inoltre le mucche bevono acqua pura dalle sorgenti e dai ruscelli. Infine la sua genuinità dipende dalla lavorazione del latte intero appena munto.

Le Difficoltà

Gli alpeggi si trovano in zone tra i 1500 e i 2300 metri di altezza, con scarsa viabilità, elevate escursioni altimetriche e forti pendenze.
Quindi il trasporto della merce e del formaggio può avvenire solo con animali da soma (alcuni alpeggi riescono a trasportare la merce con l’elicottero).
Difficoltà di trovare legna per riscaldarsi durante la notte o durante il brutto tempo (per alpeggi d’alta quota).
Non c’è luce, bagno ed acqua calda.
I pastori ed i casari sono installati in baite o nei tradizionali “calecc” (recinti costituiti da muri di pietra a secco ed alti poco più di un metro con un telo al posto del tetto, adibito sia a ricovero dei pastori che a locali per la lavorazione del latte).
Mancanza di mano d’opera, perché si deve restare per circa tre mesi in alpeggio e perché si deve restare a curare le mandrie con qualsiasi tempo.
Difficoltà di mungitura in quanto i pastori devono mungere troppe mucche al giorno, sempre per mancanza di mano d’opera.

La Lavorazione

Formaggio grasso prodotto con latte di mucca intero appena munto, con possibili aggiunte di latte caprino (5/15 %). Il latte appena munto viene immesso nelle caldaie di rame (coldera) dove viene riscaldato mediante il fuoco ad una temperatura di 36°-40° C. Il casaro agita con la rotella la massa per favorire l’uniforme distribuzione del calore, viene quindi aggiunto il caglio (liquido o in polvere) in quantità precise secondo la quantità del latte. Sotto l’azione dell’enzima, il latte, attraverso reazioni complesse, si trasforma in cagliata che man mano indurisce. Quando il casaro considera giusta la consistenza della cagliata passa alla “rottura” della stessa. Dopo aver tolto la “pannetta” (pellicola di caseina, grasso ed altre sostanze che si separano in superficie) con la spannarola e mediante movimenti lenti e delicati dalla periferia al centro, si rivoltano in grandi fette gli strati superiori della cagliata, dalla quale incomincia a separarsi il siero. Trascorsi dieci minuti si taglia la cagliata con lo spino fino a ridurre il tutto in grumi piccolissimi (chicco di frumento). I granuli vengono ancora tenuti in agitazione moderata per evitare l’aggregazione (fase di spinatura). Si passa alla fase di cottura della cagliata (dove il rimestamento prosegue) durante la quale la temperatura viene portata a 46°-52° C. (20-30 minuti). Allontanata la “coldera” dal fuoco si prosegue l’agitazione per altri 15-20 minuti (spinatura fuori fuoco). I granuli, avendo perso siero, sono ormai diventati asciutti, elastici, pesanti, di colore giallognolo e capaci di depositarsi sul fondo della caldaia ed aggregarsi nel giro di 15-20 minuti, dopo che il rimestamento viene sospeso.
Con l’aiuto di patte si estrae poi la cagliata che viene messa sullo “spersore” entro le fascere. Per ventiquattro ore le forme vengono sottoposte a pressione per favorire l’espulsione del siero e per consentire alla pasta di raggiungere un certo grado di acidità per una buona maturazione in casera. Poi segue la salatura che serve a conferire una certa sapidità alla pasta ed a completare la fuoriuscita del siero, a consentire la creazione della crosta ed a creare sulla crosta uno strato asettico per impedire lo sviluppo di muffe. Si usa la salatura a secco effettuata a giorni alterni, ora sull’una ora sull’altra faccia, oltre che sullo scalzo (corona) per circa 5-8 applicazioni per parte. Il formaggio viene poi posto nella casera dell’alpeggio come ultimo ciclo di lavorazione. A questo punto noi incominciamo a ritirare le partite di formaggio dai vari alpeggi. All’acquisto le forme vengono segnate con simboli e numeri a mano per saper riconoscere l’alpeggio, il costo, il peso, l’annata per poter calcolare il calo del peso. Come manutenzione c’è la raschiatura delle facce e della corona delle forme dapprima giornalmente e poi settimanalmente. Importante è anche il lavoro di ribaltamento delle forme e delle assi sulle quali sono poste (per poter permettere alle forme di asciugare). La raschiatura si fa più distante nel tempo man mano che le forme invecchiano. Con questo procedimento si portano ad invecchiamento forme anche oltre dieci anni, dove il Bitto prende un colore giallo scuro con la goccia. Oltre a queste tecniche, ci vogliono tanti anni di esperienza, cure particolari per l’invecchiamento delle migliori forme e piccoli segreti che noi serbiamo come un tesoro da ben quattro generazioni.